Happy End 2004 > Reginaldo
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Mercoledì prima di Pasqua Reginaldo era uscito per la sua abituale
battuta di caccia: la campagna qua intorno è tutta sua.
Il giorno di Pasqua ancora non era tornato. Cercato e ricercato nei suoi
territori... ma nemmeno una traccia di lui. Tre settimane dopo un biglietto
su un albero, con un nome e un numero di telefono, dava notizie di un tigrato
grigio, trovato e portato dal veterinario in pessime condizioni.
Ora Reginaldo è di nuovo a casa con noi, sta benissimo, anche se è senza un occhio, lo chiamiamo Guercino, ma ha ripreso le sue battute di caccia e le sue abitudini. E insieme a noi ringrazia quel gruppo di meravigliose persone che si sono prese cura di lui quando tutti noi pensavamo di non ritrovarlo più.
Natalino, Reginaldo "Il Guercino" e famiglia - Modena (MO),
14 maggio 2004-11-10
Una sera verso le 21 arriva una chiamata: è la voce di un giovane
che mi chiede se fossi io quella che mesi prima era riuscita a ritrovare
il suo gatto dopo tante settimane di ricerca. Mi dice che ne ha trovato
uno anche lui e che vorrebbe fare qualcosa per farlo tornare a casa. È
da ore che gira per la città e che chiede in giro, pur di trovarmi.
Se ce l'ha fatta lui a trovare me ed io a ritrovare il mio di micio, forse
potrei aiutare anche lui?
Ci incontriamo al buio, per strada, emeriti sconosciuti, lui arriva agile in sella ad una bici. Era a correre in un quartiere tranquillo ed ha visto un gatto che era appena stato investito. Una fatica incredibile a prenderlo: un animale gravemente ferito e per giunta terrorizzato.
Finalmente, dopo tanti tentativi andati a vuoto, Davide era riuscito ad agguantarlo e a portarlo dal suo veterinario, coincidenza vuole scopriamo che è anche il mio. Gli prometto aiuto e inserisco l'annuncio sul sito anche se a suo tempo eravamo sconosciuti ai più.
Al mattino dopo lui va ad appiccicare volantini e io vado in clinica... Mi dicono che Mimì (anche gli animali sconosciuti meritano un nome!) sta molto male. Gli dovranno togliere un occhio e poi si vedrà. Ripasso nel pomeriggio, l'intervento è finito ma lui è uno straccio. È un unico grumo di sangue e di liquidi rappresi. Sfinito sta immobile, accasciato nella sua gabbia. Gli ho portato un maglione di lana. Chissà se gli piacerà.
Da allora torno in clinica ogni giorno perché Mimì dopo 48 ore di spasmodica attesa, decide che non è ancora venuto il momento di morire nonostante l'occhio mancante, il mento incrinato, contusioni da tutte le parti... Fuori piove a dirotto, impossibile andare ad appendere altri volantini. Davide ha fatto quello che poteva, una ventina. So che non bastano ma Giove Pluvio non sembra clemente.
Poco a poco facciamo amicizia, anzi a dire il vero Mimì vuol fare amicizia con tutti anche se è ancora completamente stordito, durante i primi giorni, dal dolore e dagli analgesici. Non riesce nemmeno a miagolare, né a fare le fusa, emette un suono orribile e quel muso così straziato, orripilante cerca affettuosamente il mio viso. Vuole conforto. Chiudo gli occhi e ci vuole coraggio a non balzare indietro inorridita perché a guardarlo, il suo volto è la maschera di chi sta vivendo un inferno di paura e di dolore. Ma non mi ritraggo e capisco che Mimì gradisce.
Ogni giorno cerco di pulirlo un pò di più. Davide so che chiama e passa anche lui a trovare il gatto. Lentamente, incessantemente, come la pioggia che continua ad imperversare, il micio migliora però... della sua famiglia nessuna traccia e quel che è peggio: Mimì non mangia. A una settimana e mezza dall'intervento un'altra anestesia e il bel gattone viene "smontato" per capire perché. Nulla. Ha il naso completamente intasato, si lascia accarezzare dappertutto tranne che lungo le narici, ancora completamente occluse dal sangue e chissà cos'altro. Tra flebo e pappette somministrate a viva forza, si riesce a tenerlo in vita.
Passa un'altra settimana, i medici si innervosiscono perché Mimì si ostina a non voler mangiare. Ci provo anch'io, propinandogli ogni genere di cibo, anche quelli proibiti, dalla maionese alla pasta d'acciughe. Chissà che non riesca a fargli almeno venire voglia?! Niente, Mimì vuole stare in grembo e basta ma almeno adesso il rantolo che emette, rassomiglia molto vagamente ad un miagolio. Ogni giorno passo almeno un'ora in clinica, se riesco anche due volte al giorno. Fuori continua a piovere.
Torno a casa dopo una delle tante volte che ero stata da lui e guardo i miei due gatti. Dico: vero che Vi comporterete bene? Ronin e Tabby non si scompongono. Affare fatto! Torno in clinica e convinco il Vet a lasciarmi portare a casa Mimì. Chissà che un letto caldo e una casa accogliente non gli ricordino i piaceri della vita, tra cui anche il mangiare. I miei due pelosi si comportano in modo irreprensibile. Mimì dimostra di sapere esattamente cos'è una casa. È un gatto molto bello, ha il muso affilato, elegante come quello di un orientale. Chiamo Davide: sì proviamo con un pò di "terapia affettuosa" - magari serve!
Mimì finalmente si acciambella e riposa. Si è trovato un cassetto semiaperto e dorme. Si vede che è più sereno. I miei gatti scivolano per la casa come due fantasmi. Tengono fede alla promessa: i malati non si toccano.
Riporto Mimì in clinica, il cibo non l'ha toccato ma ha tutta un'altra faccia. Il giorno dopo vado a riprenderlo. Gli piace questa cosa! Arriva a casa e hop nel cassetto dopo aver ispezionato la casa. Apro una lattina, fa uno scatto e arriva di corsa. Una sola leccata e si rintana nel suo angolo preferito. Insomma, finalmente un risultato. Chiamo il Vet e lo avviso che siamo sulla buona strada. Siamo d'accordo che Mimì passa la notte da noi. Chissà che non gli venga fame all'ora di cena. Già, l'ora di cena. Finalmente mangia due bocconi poi torna a perlustrare la casa, qualche volteggio sul divano e finalmente Mimì dorme una notte intera non in clinica.
Il mattino dopo il miracolo: festa grande alla prima colazione. Un assaggio, ancora un assaggio e poi... altro che fame! Era ora, in extremis o solo perché forse si incominciava a dissolvere quell'enorme tappo nel naso che impediva a Mimì di percepire l'odore del cibo negandogli così la consapevolezza di avere davanti a se qualcosa di commestibile. Esultante (io), satollo e recalcitrante (lui) lo riporto in clinica dopo qualche ora.
Continua a mangiare anche lì mentre finalmente io corro ad attaccare volantini: ha smesso di piovere ma nevica foglietti bianchi, la sagoma di un gatto in una cornice a cuore - abbiamo ritrovato un gatto grigio in pessime condizioni...
E adesso incomincia una seconda corsa col tempo: Mimì smette di mangiare solo per miagolare a gran voce che lui in clinica non ci vuole più stare, vuol tornare a casa! Due giorni di attesa nervosa dopo aver attaccato massicciamente i volantini, Mimì che viene a casa perché non glielo posso negare e poi il terzo giorno non posso andare a prenderlo perché ho un impegno. Sono in macchina, squilla il telefono. C'è Davide, felicissimo che tutto d'un fiato dice: abbiamo trovato la famiglia, sono già passati a prenderlo. Reginaldo è a casa.
Non dimenticherò mai quell'attimo, dove il cuore si divise in due, per piangere di felicità e per il mancato commiato. Era un giorno di primavera, ero sul ciglio di una strada di campagna e la mia missione era finita. Anche quella di Davide perché lui, Reginaldo, alla fine è riuscito a tornare a casa.
Davide e Raffaela - Modena (MO), 10 novembre 2004
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